Venti di guerra e speranze di pace

Venti di guerra e speranze di pace

 

Dopo essermi assicurato che la conferenza di don Tonino Bello, tenutasi a Treviso il 13 Novembre del 1990, non fosse stata in seguito pubblicata, ho ritenuto utile, seppur a distanza di tanto tempo, che quanto offertoci in quella lontana sera potesse e dovesse diventare patrimonio di tanti.
L’esserci stato, in quella circostanza, mi permise di poter registrare le parole pronunciate dal Vescovo don Tonino e di poterle così risentire anche in seguito. Questa registrazione l’ho sempre conservata come una preziosa “reliquia” e, come succede per un buon vino, mi sono accorto che più passava il tempo ancor più percepivo, di volta in volta, il valore e l’attualità di quanto andavo a riascoltare. Per dirla in breve, chi avrà modo di leggere queste parole, ritroverà in modo nitido tutto lo “spirito” che ha animato la vita di questo autentico pastore.

È per me, inoltre, una felice coincidenza il poter offrire questo lavoro di “restituzione” proprio in occasione del mio 25°anniversario di Ordinazione presbiterale. Fin dall’inizio del mio essere prete ho visto in don Tonino un prezioso “compagno” di viaggio a cui attingere a piene mani, nutrendomi alle sue parole e ai suoi scritti, carichi di tante suggestioni e immagini che mi hanno toccato in profondità. Sono stato ordinato prete il 2 dicembre 1989. Pochi giorni prima, ovvero il 9 novembre di quello stesso anno, c’era stato l’abbattimento del Muro di Berlino. Indelebile, dunque, a distanza di tempo, il ricordo della mia ordinazione in quella data e in quel clima di generale “euforia” che si era venuto a creare proprio dalla demolizione improvvisa di quel muro che risvegliò, in modo inatteso, tante “sopite” speranze di riconciliazione e di pace tra i popoli. Nella mia “prima” S. Messa, con un cuore emozionato e riconoscente, ringraziai il Signore per il dono del mio essere prete e “prete” consacrato in quei giorni particolari e gravidi di tante attese!

Mi hanno, inoltre, sempre accompagnato le parole del Vescovo Paolo Magnani che, nell’omelia di ordinazione, nella prima domenica di Avvento, mi disse: “Tu sarai prete dell’Avvento!”. Io ho sempre interpretato quel compito alla luce di due verbi bellissimi, di questo periodo liturgico, che sono: alzatevi e levate il capo. Il Vescovo Tonino Bello, in una sua omelia di Avvento, diceva che questi sono i due verbi dell’antipaura. “Vedete: paura – diceva – ha la stessa radice di pavimento. Viene dal latino “pavére”. “Pavére” significa: battere il terreno per allivellarlo. Anche terrore ha la stessa radice di terra. Paura, quindi, è la conseguenza dell’essere battuto, allivellato, calpestato. Ora che cosa mi dice il Signore di fronte a queste paure: rimani lì steso sul pavimento? Rimani appiattito, atterrato? No! Mi dice la stessa cosa che ha detto a Maria: “Non temere!”.

Tante anche in noi, ne sono certo, le paure che vorrebbero continuamente “appiattirci”. Ripensando al mio ministero di prete, davvero anche per me non sono mai mancate le situazioni, i momenti e i motivi per rimanere “atterrato”. È stato bello che, alla conclusione di quell’incontro di 24 anni fa, don Tonino abbia citato il versetto del Salmo di Isaia dove è scritto: “Non mi dimenticherò di te, dice il Signore, ho scritto il tuo nome sulle palme delle mie mani”. Una citazione più volte da lui ripetuta con forza (…Dio ha scritto il nome sulle palme delle sue mani, di tutti, di tutti!) e che lo ha portato a terminare con una nota di grande speranza, presente e possibile, questa speranza, solamente in coloro che sono abitati dalla consapevolezza dell’essere amati amorevolmente dal Signore: “Io sono convinto che – ha detto – per il nostro vecchio mondo non è finita, anzi, ve lo dico davvero e non è una conclusione per darvi coraggio o per darvi un po’ di narcotico spirituale, non è finita per il nostro vecchio mondo e si preparano davanti a noi senz’altro tempi più belli… il rosso di sera non si è ancora scolorito!”.

E infine, interpellato come parroco, poiché “promosso” più volte sul campo ad esserlo, non posso non raccogliere, come spunto conclusivo, quell’invito di don Tonino, sempre presente in quello che andrete a leggere, che dice: “Chi è parroco, faccia di tutto per rimanere promosso sempre parroco perché è l’esperienza più grande e più bella che si possa vivere. Poter chiamare tutti per nome…”. Anche don Primo Mazzolari, spesso, amava ripetere: “Di una cosa non mi sono mai stancato nella mia vita: fare il parroco!”. La circostanza, dunque, dell’anniversario della mia ordinazione presbiterale mi porta doverosamente a ringraziare il Signore proprio per l’esperienza che sono chiamato a vivere come parroco e che dice del prete a contatto quotidiano con un gregge, che parla di prossimità, di condivisione delle gioie e dei dolori delle persone, di lacrime versate, di accompagnamento del piccolo e del grande, del giovane e dell’anziano, del forte e dell’ammalato… la possibilità – che bello – di poter chiamare tutti per nome!

Don Angelo Visentin
parroco

Sant’Ambrogio di Fiera, 2 dicembre 2014

 


 

Ho conosciuto don Tonino Bello, quando, succedendo a mons. Bettazzi, è diventato Presidente di Pax Christi italiana. Era il 1985. A Brescia c’è stato il passaggio delle consegne. Ricordo che, mentre arrivavano i congressisti, un prete in clergyman nero si aggirava smarrito tra tanti giovani vocianti. Non sapevo ancora che fosse il Vescovo di Molfetta. L’ho avvicinato e ci siamo salutati senza presentazioni reciproche. Quando poi lo vidi e lo ascoltai dal tavolo della presidenza, prima, e, successivamente, dall’altare nella celebrazione eucaristica, ebbi una strana impressione, tra la sorpresa ammirata e una certa perplessità. Anche l’assemblea viveva i due sentimenti: da una parte un entusiasmo per la sua parola accalorata e forbita, e dall’altra un dubbio: “I Vescovi non ci avranno mica mandato un sentimentale, un parolaio, un poeta?” Ci si sbagliava proprio, soprattutto noi freddi rappresentanti del Nord Italia a contatto diretto con un appassionato uomo del Sud.

Io ebbi occasione di accorgermi, subito, dell’equivoco, perché ebbi la grande fortuna di essere, con lui Presidente, nel Consiglio nazionale di Pax Christi. Chi ha potuto ascoltarlo, anche qui a Treviso nella “conferenza” che presentiamo, forse può capire chi era veramente don Tonino.

Era un cristiano profondamente convinto che il Vangelo è il “Vangelo della pace”. Anzi, che la Pace ha il volto di Gesù di Nazareth: “Lui è la nostra pace”. Era un Vescovo innamorato della Chiesa anche se, a volte, lo ha fatto soffrire. Desiderava che essa fosse coraggiosa nell’annunciare e vivere il Vangelo della Pace. Anzi, noi non capiremo mai la figura di don Tonino se trascuriamo questa radice di tutto il suo essere uomo, cristiano, prete e Vescovo: il volto di Gesù-Pace che ha sempre cercato e, a volte, sembrava perfino che fosse arrivato a “vederlo” nella fede.

Da questa fede infuocata partivano due grandi movimenti del suo spirito e del suo agire concreto.
Il primo andava verso ogni persona che incrociasse il suo cammino: giovane o anziano, uomo o donna, povero o ricco. Amava dire che dobbiamo guardare “il volto” di ciascuno, senza violenza e con amore solidale, lasciandoci coinvolgere dalla sua situazione, per quanto disperata possa essere. Ogni uomo è prezioso: ha un nome col quale dobbiamo chiamarlo, come Dio chiama ciascuno di noi col nostro nome, che Lui ricorda sempre perché se lo è scritto, come dice Isaia, sul palmo delle sue mani.
E il secondo movimento, che partiva sempre dal Vangelo della pace, da Gesù che è la nostra pace, doveva andare verso l’impegno sociale, verso la costruzione di una società giusta e solidale, con strutture socio-politiche giuste e solidali. Doveva andare verso la politica, nel senso alto della parola. Ma quando pronunciava questa parola “politica” scattavano le reazioni degli uomini della piccola politica (“Un vescovo non può parlare di politica”) e anche di uomini di Chiesa (“Un vescovo non può sporcare il Vangelo”). E invece lui non solo insisteva nel dire che senza politica vera non si può costruire la pace, la “convivialità dei popoli”, ma poneva gesti di pace con valenza politica. Il più clamoroso fu l’aver guidato nel 1992 la marcia della Pace a Sarajevo, sotto l’assedio serbo. Chi era con lui ricorda un suo straordinario appello notturno in una Veglia per la pace. Le critiche, numerose, furono però discrete, forse perché tutti avevano visto che il tumore stava consumando don Tonino, che morirà nella primavera del 1993. Mentre aveva consolazioni dal magistero di Papa Giovanni Paolo II (soprattutto ha goduto per il messaggio per la Giornata nella pace del 1993: “Se cerchi la pace, va incontro ai poveri”) si rattristava per la tiepidezza, o anche il silenzio, del mondo ecclesiale italiano.

Sull’impegno politico ritorna con forza anche il testo che ora leggerete. Don Tonino ripeteva che la difficoltà per noi cristiani sta proprio nel tenere insieme i due movimenti. Se si separano, ne va di mezzo il Vangelo della pace.
Vivere relazioni di pace con le persone che frequentiamo abitualmente, con i volti che conosciamo e amiamo, non basta. C’è il rischio di chiuderci in cerchi ristretti, di diventare assistenzialisti con i poveri, di celebrare liturgie talmente “spiritualizzate” che non sono più memoria né della morte di Gesù né della passione dei poveri.
Ma mettersi solo nell’impegno sociopolitico, senza l’attenzione ai volti dei fratelli, impegnarsi per la giustizia sacrificando le persone, era per lui un grave errore perché avrebbe potuto far nascere una società senza il calore umano dei singoli volti, specialmente senza i poveri della terra. Ed era anche un tradimento del Vangelo della Pace, che è il Vangelo del Regno, del mondo trasformato dalla potenza di Dio e delle sue beatitudini, che devono fermentare anche le sue strutture sociali.

A don Tonino piaceva molto un’espressione del Concilio che, proprio parlando di pace, chiedeva ai discepoli di Gesù di “cambiare il cuore, mirando al mondo”. Occorre un cuore nuovo per amare Dio e ogni persona, ma occorre sempre “mirare al mondo”, alla vita collettiva non solo nostra, ma di tutti i popoli.

Leggerete parole brucianti su questo argomento. Quando venne a Treviso, don Tonino avvertiva già i segni di una pericolosa involuzione tra i cristiani: verso lo spiritualismo e l’individualismo, verso l’indifferenza alla politica e alla pace tra i popoli, verso la globalizzazione dell’indifferenza come si esprime oggi Papa Francesco.

Diventa attuale questa sua parola profetica. Noi oggi siamo esposti, più che mai, al rischio di ripiegarci sullo “spirituale” e di trascurare la “sporca politica”. Così si abbandona la politica a chi la sporca per davvero e le fa dimenticare che non si può costruire la pace con le armi né con la violenza, anche se la si volesse usare per una “causa giusta”. Senza giustizia nella nonviolenza non ci sarà pace e anche la fede senza lotta per la giustizia non potrà incidere nella storia dei popoli.

Tenere insieme fede personale, relazioni con “i volti”, impegno sociale secondo il Vangelo della Pace è una fatica che le nostre comunità cristiane oggi devono sostenere con coraggio.

Don Tonino, a vent’anni dalla morte, continua a ricordarlo anche alla Chiesa che è in Treviso, cioè a tutti noi.

Don Franco Marton

Treviso, 6 dicembre 2014

I commenti sono chiusi.