Suor Maria Bertilla Boscardin
una santa che ha amato Fiera
Quando si pensa ad un santo normalmente immaginiamo una figura eccezionale, eroica, straordinaria, lontana dalla nostra vita, dal nostro mondo, dalle nostre preoccupazioni, dal ritmo delle nostre giornate. Poi ci si imbatte improvvisamente in figure di santi come Maria Bertilla e si resta colpiti, quasi sconvolti tanto è semplice, quotidiana, quasi anonima la sua vita. E quello che più stupisce è il fatto che, proprio grazie al suo essere piccola, insignificante, si è fatta grande agli occhi di Dio. La Chiesa l’ha proclamata santa mostrandocela come esempio per la nostra vita; è nostro dovere quindi cercare di capire e di fare nostre le sue virtù.
Umiltà.
La sua vita è iniziata nel 1888 (che per strana coincidenza è l’anno della morte di mons. Farina) in un piccolo paese del Vicentino, Brendola, in una famiglia povera come tante altre famiglie povere, con una brava madre che si sacrificava per i figli ed un padre contadino che qualche volta si lasciava prendere dal gusto del bicchiere di vino e, di conseguenza, del menare le mani. Vita semplice, umile, nella quale Maria Bertilla ha maturato una grande sensibilità per gli altri ed un grande amore per Gesù e la Madonna.
Si definiva “un oco” riferendosi alla sua scarsa cultura e alla sua povera condizione. Anche da suora ha fatto i lavori più umili, accettati sempre serenamente.
Non è diventata superiora, non volevano nemmeno farle fare l’infermiera; il suo posto era quello di sguattera dell’ospedale S. Leonardo di Treviso, con il sorriso sulle labbra, ma soprattutto nel cuore. È diventata infermiera per caso, perché c’era la necessità di coprire un posto vuoto nel reparto isolamento, quello che nessuno voleva perché era facile contrarre malattie contagiose. Quando la superiora gliel’ha proposto l’ha accettato volentieri, come volentieri accettava tutto ciò che le veniva dato da fare, anzi ringraziando per la fiducia dimostratale.
Obbedienza.
Ecco un’altra sua caratteristica che deriva in modo naturale dall’umiltà. Infatti senza presunzione non ha mai discusso quanto le veniva proposto: il temporaneo trasferimento a Viggiù (Varese), il lavoro in isolamento, l’assistenza notturna. Ha sempre obbedito, fino a sfiorare l’eroismo: quando, durante la prima guerra mondiale, doveva trasferire gli ammalati dei reparti più esposti durante i bombardamenti nei rifugi, non ha mai tentennato, anche se poi, quando la superiora le chiedeva se aveva avuto paura, lei diceva che sì, ne aveva avuta tanta, ma che andava bene così.
Anzi, si ritrovava a rincuorare gli ammalati, a dare loro coraggio, prendendosi cura particolare, in quei terribili frangenti, dei più deboli: dei vecchi, che teneva d’occhio sempre e a cui cercava di stare vicina il più possibile, e dei bambini, che prendeva in braccio scherzando per trasmettere loro affetto e coraggio.
Sacrificio.
Suor Maria Bertilla si è votata al sacrificio. Nel suo diario ha scritto “A Dio tutta la gloria. Agli altri tutta la gioia. A me tutta la fatica”. In questa frase si capisce il suo animo: si è sempre sacrificata volentieri, ma il suo non è stato un sacrificio vuoto, sterile, ma un donare se stessa agli altri. Ha applicato alla sua vita le parole e l’esempio di Gesù: “Se un chicco muore porterà molto frutto”, “Amatevi come io vi ho amato”, “Non c’è amo-re più grande di chi dà la propria vita per i suoi amici”. Allora si capisce perché non si è mai risparmiata, perché si è sempre offerta per i lavori che gli altri non volevano, perché ha continuato ad assistere e amare gli ammalati anche quando un male terribile la stava prostrando e le impediva ormai di camminare, un male che la portò alla morte, a soli 34 anni, nel 1922. Non lo faceva per sé, ma per gli altri, nei quali vedeva Gesù, il suo sposo. La sua fatica dava gioia agli altri e gloria a Dio.
Una santa per Fiera.
Pensiamo allora quanto è semplice ed attuale il suo messaggio: viene a proporci uno stile di vita evangelico nei suoi aspetti forse meno amati al giorno d’oggi, per delle virtù che nel mondo dell’efficienza, del consumismo, della ricerca del benessere sembrano quasi dei vizi. Questa riflessione vale per tutti gli uomini, per tutti i cristiani, ma soprattutto per noi, parrocchiani di Fiera, in quanto Fiera ha un legame particolare con Santa Maria Bertilla.
Ai tempi della prima guerra mondiale e negli anni immediatamente seguenti Fiera era una delle zone più povere della città: c’erano famiglie che non sapevano che cosa dare da mangiare ai figli, c’era miseria, bisogno di tutto. I nostri vecchi ricordano quegli anni e le difficoltà e le ristrettezze patite. Raccontano anche che una suora, suor Maria Bertilla, veniva a piedi lungo il Sile fino a Fiera dopo aver finito il suo lavoro all’ospedale e portava delle sporte di cibo alle suore dell’asilo. Conosceva la loro situazione di povertà, aggravata dal fatto che esse volevano venire incontro ai più bisognosi di Fiera con pasti caldi, e, spinta dalla sua attenzione alle necessità degli altri, aveva chiesto ed ottenuto l’autorizzazione a portare viveri dall’ospedale. È questo un ulteriore esempio della sua carità, che l’ha condotta fino a Fiera, facendo nascere così un rapporto stretto tra lei e la nostra gente.
Per segnare ancor di più questo legame di Fiera con S. Maria Bertilla, la nostra Scuola Materna è intitolata a lei, lei festeggiamo ogni anno in Parrocchia e i nostri figli imparano a volerle bene imparando la sua vita. In questo modo S. Maria Bertilla è entrata nella vita della nostra comunità.
Per noi quindi è, o deve diventare, un’amica da amare e da imitare più di quanto non sia per quelli che non hanno avuto la fortuna di apprezzarla nel momento del bisogno e di imparare il suo nome e di amare la sua vita imparando le prime nozioni scolastiche nei banchi dell’asilo.
Testo tratto da La Scuola dell’Infanzia “Santa Maria Bertilla” nel centenario della fondazione 1913-2013, Treviso 2013